Un tempo la comunicazione si faceva al pubblico. Questa era la normalità per tutte le aziende che puntavano a migliorare la propria presenza sul mercato trovando nuovi clienti. Negli anni precedenti alla rivoluzione digitale, il messaggio aziendale veniva diffuso ai quattro venti, nella speranza che qualcuno lo captasse, lo rielaborasse e decidesse di comprare. Nella scelta se promuovere il brand o il singolo prodotto, il primo era preponderante, e il messaggio era generico. Nessuno si ricordava che tipo di pennello fosse quello “grande” che bloccava il traffico nella pubblicità della Cinghiale. Si ricordava la grande marca. Era un messaggio simile a quello di un cartellone pubblicitario, lanciato nello spazio per far ricordare un brand.
Oggi, il bilanciamento si è spostato nettamente verso il prodotto. Poche aziende, e di livello mondiale, possono pensare di imporre il loro prodotto per via della potenza del loro brand. Per molti versi, il mondo dei social ha permesso di canalizzare la voce della pubblicità, ed indirizzarla verso nicchie specifiche. E’ il concetto di “imbuto” che domina l’inbound marketing ma si estende anche alla pubblicità tradizionale.
Non si tratta di una necessità che nasce adesso. Si è sempre cercato di ridurre e precisare il target, quando ce n’era la possibilità. E’ il caso delle pubblicità di giocattoli nelle fasce orarie della TV per bambini. Ci sono sempre state. La differenza è che oggi ci sono molti più strumenti e molto più invasivi nei nostri gusti e nelle nostre abitudini. Che non solo sanno come arrivare a noi, ma sanno farlo nel momento in cui abbiamo più bisogno.
L’ideale del marketing digitale degli anni 2010 è quello di dedicare un messaggio diverso per ogni potenziale acquirente in un momento in cui è propenso ad acquistare. Oggi, in altre parole, con le dovute eccezioni, si propone un pennello morbido a plafoniera antigoccia, proprio nel momento in cui c’è bisogno di imbiancare casa. Poco importa la potenza della marca: importa ridurre e colpire la nicchia giusta.