Vi è capitato mai di pensare “com’è piccolo il mondo?”. Magari in viaggio dall’altra parte del pianeta incontrate il vicino di casa o a un evento un compagno di liceo che non vedete da allora. Abbiamo mille aneddoti!
C’è anche un altro motivo per cui il mondo oggi è piccolo: perché siamo connessi in maniera digitale e multimediale e l’interazione, tanto a livello personale, quanto professionale, è sempre più spesso transazionale e transculturale.
In un mondo raggiungibile sempre più con un click, la traduzione, fatta bene, anche di tutti i contenuti destinati al web è un must.
In questa situazione, l’inglese è la lingua “passaporto” che ci fa interagire con la gran parte del mondo; per esempio, noi italiani possiamo visitare tutti i siti e gli e-commerce dei paesi anglofoni e di molti altri paesi del mondo tradotti in lingua inglese, cercare quello che vogliamo, leggere, scaricare dati e, magari, concludere un ordine.
Ma cosa succede allo straniero che visita un sito italiano e non capisce la lingua? Purtroppo, nonostante il report 2018 di Etnologue mostri che l’Italiano è diventato il 4 idioma più studiato al mondo, non possiamo dire che la nostra lingua abbia lo stesso peso dell’inglese, soprattutto in ambito professionale. Quindi le risposte alla domanda sopra sono:
- il sito è solo in italiano, lo straniero, se ha buona volontà e interesse, si arrabatta con Google Translate, che è un aiuto da prendere con le pinze.
- il sito è anche tradotto, male, in inglese o altra lingua; lo straniero è più perso che dopo aver usato Google Translate, magari anche sbalordito dalle sbavature o dagli strafalcioni della traduzione.
- il sito è tradotto, in maniera corretta ed efficace, in inglese o anche altre lingue; lo straniero ci naviga piacevolmente, legge, scarica, etc.
Se il sito italiano visitato dallo straniero è un e-commerce di una piccola società desiderosa di espandere il proprio business anche all’estero, il punto 1 e 2 rappresentano un problema, una possibile vendita non andata a buon fine, una pessima user experience del sito e, indirettamente del brand, e un cliente che forse non tornerà.
Il fatto è che la traduzione fatta male è, magari, il biglietto da visita di un prodotto italiano che, al contrario, è di alta qualità.
Ci capita di sentire dire, a fronte di alcuni preventivi, “la traduzione la faccio fare a un amico che sa l’inglese (o altra lingua)”, “a un tizio che usa i traduttori automatici” e via dicendo. E’ vero, esistono oggi alcuni software che supportano il traduttore nell’atto della traduzione, ma, anche in questo caso, non ci si può affidare al solo software e un buon traduttore lo sa. In quanto all’amico di famiglia “che sa l’inglese”, ci auguriamo che sia un bravo traduttore certificato!
Le traduzioni, ben fatte, sono il mezzo di connessione dell’economia globale, e le aziende che vogliono internazionalizzarsi non possono prescindere da esse, di qualunque lingua si tratti. Inglese in primis, ma se si vuole esportare in Cina, una perfetta traduzione cinese è indispensabile.
Un po’ di storia e qualche esempio: l’atto di tradurre è parte della storia e della cultura dei popoli, pensiamo alla Bibbia, che fu tradotta in almeno 531 lingue, a maggior ragione gli errori di traduzione o trasposizione culturale possono avere un grande impatto.
Facciamo qualche esempio eclatante degli ultimi anni:
- Un aneddoto riguardante l’ExpoMilano del 2015: il cartellone pubblicitario bilinque fu esposto con un errore assurdo. La frase “Acquista in Fiera il tuo biglietto Expo” divenne “But (al posto di buy) your ticket at Fieramilano” che letteralmente significa “Tranne il tuo biglietto a Fieramilano”.
- Il motto della Pepsi di qualche anno fa “Brings you back to life” che voleva intendere “Prendete Vita con Pepsi”, in cinese mandarino fu tradotto come: “La Pepsi riporta i tuoi antenati in vita dalla tomba”. Da brividi, vero?
- Anche il noto marchio americano KFC ha avuto problemi in Cina: lo storico slogan “Finger-lickin’ good”, “Buono da leccarsi le dita” è stato tradotto in “Mangiati le dita” in cinese.
- Sempre parlando di Cina, ricordiamo l’“incidente culturale” di Dolce & Gabbana per uno spot video del 2018 che doveva promuovere una sfilata evento a Shangai e che ha finito col creare un danno di immagine ed economico al noto fashion brand.
Si potrebbe continuare ricordando che le scarpette di Cenerentola non erano di Cristallo, ma di pelliccia, che l’abbazia di Montecassino fu bombardata durante la 2° Guerra Mondiale per un errore di traduzione, e potremmo finire parlando di alcuni famosi marchi che nel riproporre un proprio slogan o nome di prodotto in un paese straniero non hanno verificato che quel determinato termine aveva in loco tutt’altro significato, magari pure nella sfera sessuale…
Infine, visto che la Bibbia è già stata citata, pensiamo all’iconografia di Mosé, riprodotto spesso con una sorta di corna. Tutta colpa di un errore di traduzione: nella Bibbia ebraica era stato scritto che Mosé, alla vista di Dio, fosse diventato raggiante. Ma l’ebraico “karan”, che significa raggi, fu confuso con “keren”, ossia corna: da qui la frequente rappresentazione di Mosé con delle “corna di luce”.
Un errore che ha avuto un impatto nei secoli dei secoli…Amen!
Articolo realizzato dai nostri partner di Languages at Work