Non tutto il mondo è paese. Sembra un’ovvietà, detta così, ma riscontriamo purtroppo ogni giorno le problematiche di aziende che tentano di approcciarsi ai mercati esteri come farebbero con quello italiano, cosa che può condurre a disastri di varia portata. Ma lo stesso problema si verifica quando si cerca di applicare ad un processo di internazionalizzazione un modello fisso, senza valutare le specificità.
Un modello che ha funzionato in un altro paese, può non funzionare per quello che abbiamo in mente. Un modello che ha funzionato per un’altra azienda può non funzionare per la nostra, anche a parità di paese. E’ un concetto difficile da far passare in un mercato che propone “guru” più o meno autotitolati portatori di ricette già pronte.
Il concetto di internazionalizzazione personalizzata
La realtà è molto più complessa. E non c’è da sorprendersi. Non siamo in un mondo che va verso la generalizzazione, siamo in un mondo che va verso la personalizzazione. Non solo ogni mercato ha le sue specificità. Si tratta di elementi sociali, politici, ma anche culturali unici, che se possibile sono stati ancora più acuiti dalla crisi del Coronavirus.
Ogni cliente ha elementi che tendono a declinarsi in modi diversi: per avere successo siamo sempre più abituati a settorializzare, a cercare di entrare in una nicchia. Questo vale per noi e per i nostri clienti, che si aspettano di conseguenza proposte in linea con le loro aspettative.
Il concetto base, spiace dirlo, è che quando si parla di internazionalizzazione, le ricette magiche e gli schemi di successo precostituiti hanno pochissimo valore e comportano rischi elevatissimi di “sbagliare il colpo”.
Dalla prima ricerca del cliente, svolta sia dal punto di vista del digitale, sia tradizionale, la strategia va personalizzata partendo dalle caratteristiche dell’impresa che vuole esportare. C’è la flessibilità che serve? Ci sono gli aspetti che il potenziale cliente attende? Sappiamo quali sono i canali giusti? Siamo sicuri che intraprendere una strada non ne possa chiudere altre? Sono domande abbastanza ovvie, ma quello che non è chiaro è che non possono essere applicate ad un paese o ad un mercato, ma vanno declinate più a fondo possibile.
Ogni percorso è un case study
Per questo motivo, in TradeCube non crediamo nelle soluzioni miracolose, ma nel lavoro a contatto con le imprese per individuare il giusto percorso, personalizzato. Un po’ come quando, prima di acquistare una vettura e perfino prima di entrare in un concessionario, andiamo sul web e riusciamo a configurare ogni dettaglio della nostra auto dei sogni, quando vogliamo trovare un nuovo cliente dobbiamo pensare in anticipo a definire quante più variabili possibili. Così facendo, forse non si eliminerà del tutto il rischio di trovarsi su una strada… a fondo chiuso, ma si sarà fatto il possibile per contenerlo. Il metodo di lavoro è lineare, Aumentando la possibilità di “centrare il bersaglio” e riducendo le dispersioni:
- Nelle prime fasi, una pre-analisi che valuta mercati e concorrenza
- Un check-up commerciale
- Un’analisi SWOT per valutare punti di forza e debolezza, opportunità e pericoli.
- Avvio di un percorso personalizzato.
TradeCube, un pacchetto low-cost per l’internazionalizzazione commerciale
Per le imprese che vogliono trovare nuovi mercati esteri, TradeCube ha messo a punto un pacchetto estremamente low-cost che con soli 590€ permette di coprire la prima analisi di fattibilità. Affronteremo insieme l’analisi dell’interscambio commerciale dall’Italia ai potenziali paesi target, analizzeremo due competitor italiani e due esteri, e valuteremo 3 delle 4 componenti del marketing mix (prodotto, promozione, distribuzione e competitor.