Quando l’esportatore approccia il mercato di un paese straniero, può adottare due modalità di vendita, diretta e indiretta. Spesso ad essere scelta dalle PMI è la seconda. Quali sono i vantaggi e le criticità?
Con la vendita indiretta, l’azienda fondamentalmente si affida a strutture intermediarie. Ad esempio, a esportatori nazionali o importatori stranieri che mettono a disposizione (ad un costo) la loro rete di distribuzione. Ci si può avvalere anche di strutture specializzate, trading company italiane o straniere, o entrare in strutture di tipo cooperativo.
Minimizzare costi, struttura e rischi
Questa scelta permette di ridurre i costi di struttura, gli investimenti e la necessità di esperienze precedenti. Parimenti, offre maggiore flessibilità, con la possibilità di modulare le caratteristiche a seconda delle necessità del momento, in particolare per aziende dalle dimensioni molto limitate o in mercati con flussi irregolari.
In alcuni casi, l’intermediario acquisterà in nome e per conto proprio assumendosi anche il rischio commerciale, mentre in altri, ad esempio per i consorzi promozionali, la vendita vera e propria rimarrà in carico all’azienda esportatrice che andrà ad esternalizzare solo il lato della commercializzazione. Nei primi casi, il controllo da parte dell’esportatore sarà minimo o nullo, così come il feedback di ritorno dal mercato. Sarà di fatto come vendere ad un’azienda nazionale. Viceversa, nel caso dei consorzi ci sarà più controllo e sarà possibile ottenere maggiori informazioni sul mercato estero target.
Meno informazioni, meno controllo
In generale però, con la vendita indiretta si ridurranno o elimineranno del tutto i contatti con il mercato finale. Ciò è inevitabile, in quanto l’intermediario ha tutto l’interesse a non condividere le informazioni per non essere “tagliato fuori”. Le modalità, le motivazioni d’acquisto, e anche i metodi di vendita tenderanno a restare nell’expertise dell’intermediario. Oltre ad avere meno controllo, l’esportatore che sceglie la vendita indiretta di fatto rinuncia ad “inventare”, e a cercare ulteriori opportunità in proprio.
Gli investimenti saranno limitati, ma lo saranno anche i frutti che in generale gli investimenti in esportazione normalmente portano. Siete davvero pronti a rinunciare ad “assaggiare” il potenziale dell’internazionalizzazione?