Pubblichiamo la seguente intervista di Bruno Carenini per il magazine The Deeping, realizzato dai nostri partner di AEG Corporation. Tema portante, la situazione della Polonia, affrontato con Aldo Amati, Ambasciatore d’Italia a Varsavia.
È stato un autunno importante per la Polonia: le elezioni hanno rafforzato il consenso per il partito Diritto e Giustizia di Kaczynski, oggi in grado di governare da solo, e punta a rafforzare i capisaldi della sua politica. Citiamo ad esempio il tema della riforma del Servizio pubblico di comunicazione, quello dei diritti umani e della sua centralità all’interno dell’Unione Europea. Un Paese ammirato dal Consiglio d’Europa ma anche sotto osservazione.
Ne parliamo con l’Ambasciatore italiano a Varsavia, Aldo Amati.
Qual è la reale percezione che si ha, da una postazione diplomatica così importante?
La percezione fondamentale è che la Polonia è più complessa di come viene descritta in Italia e, spesso, da giornali e quotidiani europei di prestigio. Perché è vero che Kaczinsky ha vinto le elezioni, ha preso molti più voti rispetto alle consultazioni elettorali del 2015, ma si trova a governare in una posizione meno favorevole rispetto alla precedente consultazione. E tutto questo per l’entrata in Parlamento della sinistra rimasta fuori per quattro anni e per questa Konfederacja, ovvero un partito di estrema destra che ha tolto voti (e quindi seggi) a Kaczinsky, al Pis. Si è verificata quindi una situazione in cui al Senato esiste una maggioranza dell’opposizione (seppure molto risicata) e alla Camera la maggioranza assoluta, ma va notato che, all’interno della coalizione che sostiene il Pis vi sono anche altre due componenti: una di estrazione più socialdemocratica e liberista in economia e l’altra più concentrata sulla giustizia.
L’impressione che la Polonia stia diventando un punto di riferimento per i Paesi Baltici, e il punto di forza degli Stati Uniti in Europa, diviene però anche il maggior ostacolo per il miglioramento delle relazioni generali, soprattutto economiche, con la Russia. Nonostante le aperture del Capo dello Stato Andrzej Duda (subito però smentite) è ancora così radicato e forte il risentimento verso i russi?
Sì, lo è decisamente. Io la definirei quasi un’ossessione russa per i polacchi. È un’ossessione evidentemente giustificata da decenni di comunismo e da quello che hanno costruito attorno all’incidente aereo di Smolensk che, ancora oggi, rappresenta una pietra miliare nella divisione tra Mosca e Varsavia. E poi, diciamo, esiste un sentimento popolare antirusso, molto stimolato da articoli, dichiarazioni pubbliche ecc. Da ultimo la polemica rinfocolata da dichiarazioni del Presidente russo su presunte responsabilità polacche negli anni 40 del secolo scorso non aiuta certamente.
Con la prima realizzazione di un mini reattore nucleare di 300 megawatt, cosa da poco, nei prossimi mesi la Polonia si avvia a politiche di produzione di un nucleare a uso civile: pensa sia un buon passo verso una riconversione reale ad energie rinnovabili?
Il primo ministro polacco Morawiecki si rende benissimo conto che la Polonia non può proseguire con risorse energetiche esclusivamente basate sul carbone. La Polonia chiede tempo agli interlocutori europei e internazionali per effettuare una transizione energetica ed effettivamente bisogna tener conto di quanto sia radicato il sentimento comune sui minatori, che appartengono pienamente alla cultura polacca. Detto questo, Morawiecki è una persona molto pragmatica, un banchiere con ottime conoscenze in economia che ha lanciato un piano di diversificazione ed è proprio su questo che siamo chiamati ad esserci come Italia, per ottenere un ruolo attivo.
Come sono in questo momento i rapporti fra Italia e Polonia? Sappiamo che esiste una sezione del nostro parlamento per l’amicizia tra Italia e Polonia.
Io sono arrivato a Varsavia nell’ottobre del 2018, in tutto il 2019 c’è stato uno sviluppo straordinario, con le visite del Ministro dell’Interno Salvini, di Di Maio vicepremier, di Moavero Ministro degli Esteri, della Presidente del Senato Casellati, per tutta una serie di ricorrenze ma anche per visite bilaterali. C’è stata una grande ripresa dei rapporti bilaterali, naturalmente tutto questo anche legato al fatto di avere più di 3000 aziende italiane operative in questo Paese. I polacchi si rendono benissimo conto quanto siamo importanti da un punto di vista economico e infatti ce lo riconoscono. In passato, purtroppo, la collaborazione politica non è stata all’altezza di questi rapporti economici, ma la rotta è stata invertita e ora vediamo con i nuovi equilibri politici. Mi auguro di portare il premier Morewiecki in Italia entro la primavera. Il tutto finalizzato anche a rafforzare i rapporti economici, perché no, per commesse delle nostre aziende.
Molte delle nostre Pmi, non solo certificate da una provenienza conosciuta nel mondo ma qualificate e pregiate per competenza, vorrebbero approcciare il mercato polacco: quali supporti strutturali e istituzionali trovano ad aiutarli?
Devo dire che da quando sono a Varsavia non ho avuto nessun episodio di lamentele di imprese venute qui per internazionalizzare e che non hanno trovato un appoggio: in maniera efficiente lo trovano ovviamente qui in ambasciata, dove abbiamo la nostra rappresentanza commerciale, mentre in città risiedono la Camera di Commercio italo-polacca e l’ICE. Possiamo anche contare sull’Enit e su una serie di studi, legali e non, in grado di dare un quadro aggiornato in tempo reale della situazione fiscale. Di recente ho assistito a una conferenza sulla pressione fiscale in Polonia, dalla quale è emerso che per le imprese straniere le tasse sono molto più basse ma risulta molto più complesso compilare la dichiarazione dei redditi perché ogni mese è necessario trasmettere dati. Quindi, si parla addirittura di 300 ore all’anno dedicate alle dichiarazioni fiscali…
Gli investimenti produttivi italiani in Polonia e le sinergie istituzionali italiane hanno contribuito a decretare successi della Polonia nel campo dell’occupazione e dell’economia in generale. Come si dovrebbe fare per dare un senso reale di attrazione degli investimenti?
Come ripeto, la Polonia è di fronte a questa rivoluzione energetica e noi negli ultimi anni abbiamo puntato molto sulla diversificazione delle risorse energetiche, sulle fonti rinnovabili. Ritengo dunque che siamo assolutamente pronti a collaborare alla loro trasformazione energetica. Non a caso Morawiecki, primo ministro qui, non più tardi di due mesi fa, nel corso di un colloquio, mi diceva che contano molto sull’Italia, poiché rappresentiamo per loro un partner fondamentale. In questo momento non hanno delle relazioni molto buone con la Francia, anzi direi quasi cattive. Hanno delle ottime relazioni con i tedeschi, a cui sono legati più che altro da interessi piuttosto che da affinità, mentre invece amano noi italiani: l’Italia è identificata come divertimento, passione, cultura e allo stesso tempo sanno anche molto bene che abbiamo delle eccellenze nel campo dell’industria manifatturiera
La Polonia industrialmente è divisa in due, dove l’ovest è quasi al completo e i costi per insediamenti e occupazione sono a livelli quasi tedeschi. Resta quindi l’est, identificato con Lublino e le aree vicine all’Ucraina, dove approvvigionarsi di risorse umane è anche più facile ma, in termini di agevolazioni o di preparazione e competenza, ne vale davvero la pena? Vi sono aziende italiane già in loco?
Per quanto riguarda la divisione del Paese, penso che basti guardare la mappa dell’ultimo voto politico: la si vede nettamente, anche se il Pis ha raccolto voti anche nella zona di Wroclaw. Il problema è presentare la Polonia come uno Stato completamente diviso e non rendersi conto che, in realtà, questo governo, seppur non molto amato in Europa, ha fatto tutta una serie di riforme a carattere sociale che gli hanno consentito di vincere le elezioni e hanno portato reddito, soprattutto, nella provincia profonda, stimolandola alla crescita e, quindi, ad aumentare i consumi e l’economia. Un’economia non soltanto basata sugli investimenti esteri, sugli investimenti europei, ma anche sui propri consumi interni e siamo di fronte a un fattore completamente nuovo. È vero che ci sono, diciamo, delle asperità, delle chiusure da parte del governo del PIS ma è anche vero che, se paragonata all’Italia degli anni ’60 – ’70, qui si sta facendo questo tipo di rivoluzione, una crescita del benessere un po’ su tutto il territorio, e di questo non si può non dare merito al governo attuale.
Per chiudere, può confermare a questo punto che il Paese ha un grandissimo fermento, come nelle sue città, una dinamicità dal punto di vista intellettuale, riscontrabile anche nella cultura, nelle università? È veramente quel faro che ha fatto diventare la Polonia il settimo Paese economico d’Europa?
Assolutamente sì. Ne ho avuto l’esempio quando sono andato a visitare Danzica. Lì ho incontrato e parlato con il rettore dell’Università e consiglio a tutti di vedere come viene gestita e quanto è moderna l’Università di Danzica. Quindi è vero, esiste anche una vivacità culturale e ne è una prova il Nobel per la letteratura.