Le attività da svolgere per attuare la compliance possono essere molto diverse in funzione della durata della trasferta all’estero. Così come sono diverse le sfide che ogni operatore deve affrontare in base al Paese di destinazione.
Trasferte a breve e lungo termine, qual è la differenza?
Tecnicamente il distacco a lungo termine è quello che dura più di 12 mesi, prorogabile fino a 18 mesi. Ma questo riguarda solo l’applicazione delle condizioni di lavoro, e non tutti gli altri adempimenti, che hanno regole variegate. Le trasferte brevi, che durano poche settimane o solo pochi giorni, sembrano le più facili, ma sono molto insidiose, perché spesso vengono affrontate con superficialità.
Infatti, quando un’azienda pianifica un incarico a lungo temine, generalmente sa, o almeno presume, che ci siano vari aspetti da considerare. Il responsabile o il project manager si preoccupano quindi di documentarsi con un congruo anticipo per comprendere le attività da svolgere per attuare la compliance.
Al contrario, quando si tratta di distacchi di breve durata, la compliance viene spesso involontariamente sottovalutata, ritenendo erroneamente che nessun adempimento sia dovuto. Questo mette le imprese a rischio di sanzioni, che possono arrivare fino al divieto di svolgere l’attività nel Paese ospitante.
Quali sono le tappe fondamentali?
In base alla durata possiamo individuare delle tappe ben definite:
- Fino a 8 giorni – diversi Paesi UE -e la stessa Direttiva sui lavoratori distaccati- prevedono deroghe specifiche (tutte diverse tra loro) per distacchi molto brevi. Quindi, quando la trasferta non supera gli 8 giorni, è raccomandabile verificare se si rientra in qualche esenzione, che deve comunque essere documentata accuratamente.
- Evidenziamo anche che, in generale, le esenzioni non sono concesse nel settore delle costruzioni.
- Oltre 90 giorni – il superamento dei 90 gg può far scattare l’obbligo di richiedere un permesso di residenza, un visto o un permesso di lavoro
- Almeno 183 giorni – il lavoratore sarà soggetto a tassazione nel Paese ospitante e il datore di lavoro dovrà predisporre tutti gli adempimenti eventualmente necessari. Il tutto è regolamentato dalle normative vigenti nel paese di residenza e di destinazione e coordinato dai trattati contro la doppia imposizione
- 6 mesi e oltre – un cantiere di costruzione o assemblaggio, ad esempio, può far scattare l’obbligo di istituire una stabile organizzazione nel Paese ospitante. Ciò significa, per il datore di lavoro, pagare le imposte nel Paese ospitante. Anche in questo caso la materia è regolata dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni.
- Oltre 12 mesi (prorogabili a 18 mesi) – superando i 12 mesi è obbligatorio applicare tutte le condizioni di lavoro previste dalla legge e dal Contratto Collettivo del Pese ospitante, ad eccezione di quelle relative alla risoluzione del rapporto di lavoro e ai regimi pensionistici.
- Fino a 24 mesi –è possibile continuare a pagare i contributi previdenziali nel Paese di residenza, anziché nel Paese ospitante. Questa possibilità è certificata dal modello A1. Ricordiamo che il certificato A1 è obbligatorio anche per le trasferte di breve durata (anche di un solo giorno) e per le trasferte di natura commerciale.