La pandemia, nella sua drammaticità, ha valorizzato le infinite possibilità che derivano dall’informatizzazione. Gli strumenti informatici adeguati esistevano anche prima, ma solo quando imprese e lavoratori hanno dovuto utilizzarli per annullare le distanze si sono resi conto delle loro potenzialità. Contemporaneamente i produttori hanno incominciato a sviluppare applicazioni software per il lavoro a distanza performanti e sicure, arricchendole di una serie di funzioni e gadget sempre più sofisticati e professionali.
La distanza non è più necessariamente un problema
Attorno a questi strumenti stanno nascendo nuove consapevolezze. Perché trasferirsi, magari lontano dalla famiglia, quando il lavoro può essere svolto dalla propria abitazione, oppure da una sede a portata di mano? O ancora perché scartare a priori una risorsa che ha tutti i requisiti che cerchiamo solo perché risiede in un’altra regione, oppure in un altro stato?
E vogliamo parlare della riduzione di tempi e costi legati agli spostamenti e dei relativi effetti sull’ambiente? Ovviamente questo non vale per tutti i tipi di attività e non sostituirà mai la presenza in moltissime situazioni, ma ormai il meccanismo è in moto.
Il business dello smart working coinvolge un mondo di attività commerciali che forniscono beni e servizi in grado di migliorare l’esperienza dello smart worker, dalla ricettività alla fornitura di arredi ergonomici e spazi di lavoro.
Le regole fiscali e contributive dello smart working internazionale
Imprese a lavoratori si devono porre qualche domanda. Le configurazioni dello smart working internazionale possono essere le più svariate. Il datore di lavoro italiano potrebbe impiegare un lavoratore residente in Italia che opera dall’estero, oppure un lavoratore residente all’estero che opera dalla sua abitazione. Ancora può accadere che il lavoratore estero svolga la propria opera in uno stato diverso da quello in cui risiede o che il lavoratore italiano a un certo punto acquisisca la residenza nello stato in cui lavora.
E’ come se il dipendente fosse in trasferta
Le convenzioni internazionali in materia fiscale e contributiva sono basate prevalentemente sulla presenza fisica del lavoratore in un determinato stato. Conta quindi il luogo fisico della prestazione e non la residenza del datore di lavoro.
Se la permanenza nello stato estero si protrae per almeno 183 giorni l’anno, il luogo della prestazione può influenzare la tassazione in capo al lavoratore e quindi, di conseguenza, gli obblighi del datore di lavoro in qualità di sostituto d’imposta. Ciò vale naturalmente anche per il lavoratore alle dipendenze di un’impresa non residente che opera in Italia.
Il luogo della prestazione influisce anche sul pagamento dei contributi previdenziali. I contributi, come regola generale, devono essere versati nel paese ove il lavoratore si trova quando presta la propria opera.
Esistono varie convenzioni, tra le quali la convenzione CD A1 (Regolamento Ce 883/2004), che comprende tutti i paesi della UE/SEE, Svizzera, che permette al lavoratore di continuare a versare i contributi all’ente presso il quale è assicurato per un periodo di 24 mesi.
Molte delle attività in smart working in corso in questo momento non sono state pianificate né analizzate, ma si sono generate spontaneamente a causa delle circostanze che tutti abbiamo vissuto.
Le imprese dovrebbero prendere coscienza delle problematiche ad esse associate, valutare con attenzione le implicazioni contributive e fiscali che le riguardano e porre in essere la compliance necessaria.