NOTA: Il presente articolo è stato pubblicato quando l’attuale accordo Brexit non era ancora stato siglato. Per informazioni più aggiornate è possibile consultare la sezione Brexit di TradeCube
La confusione sul tema Brexit, in particolare con lo scenario no deal che si avvicina, è sempre più generalizzata, eppure, comunque vada, tante aziende sono ben consapevoli che i propri dipendenti dovranno effettuare delle trasferte in UK anche dopo il 31/10/2019.
Molte aziende italiane hanno installato impianti e macchinari ad elevata tecnologia di loro produzione in UK garantendone la manutenzione e riparazione e sanno che dovranno intervenire su base regolare oppure con scarsissimo preavviso in caso di emergenza.
Che ne sarà di assistenze e garanzie?
Sappiamo benissimo che non essere in grado di effettuare un intervento in garanzia tempestivo o una riparazione nei tempi concordati può avere conseguenze molto pesanti.
Alcune imprese si stanno strutturando da tempo per affrontare il problema, che è molto più sentito dalla PMI perché spesso non ha la possibilità né la convenienza ad attivare una rete di assistenza in loco.
Gli imprenditori più attenti si stanno organizzando per offrire sempre maggiori servizi in teleassistenza e per costruire una rete di contatti sul posto ai quali subappaltare gli interventi.
Nonostante ciò, in caso di Hard Brexit, o Brexit no deal, il problema dei dipendenti da inviare nel Regno Unito si presenterà per tutti: attualmente l’area di libera circolazione di persone e beni include il Regno Unito, questo significa che le persone si spostano e lavorano senza necessità di visto, passaporto, controlli alla frontiera, e possono portare con sé senza formalità gli attrezzi di lavoro, i ricambi, il campionario e qualsiasi altro bene, funzionale o meno al servizio da prestare.
Le criticità interessano quindi sia lo spostamento delle persone che dei beni collegati alla trasferta.
Il problema riguarda anche l’impresa italiana che fruisce di servizi prestati da lavoratori del Regno Unito, che si troveranno di fronte a problematiche analoghe e potrebbero non essere in grado di fornire servizi e beni con la consueta efficienza e tempestività.
La checklist della Commissione Europea appena aggiornata, al punto 2 contempla proprio questi casi.https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/brexit-preparedness-communications-checklist_v3_en_0.pdf
Seconda Parte
Nella parte precedente abbiamo sottolineato l’incertezza nella quale sono costrette ad operare le imprese che scambiano servizi con il regno Unito.
Vedremo oggi alcune delle difficoltà concrete che potremo incontrare dopo il 31/10/2019.Sappiamo che l’effettuazione delle trasferte in ambito UE richiede lo svolgimento di pratiche amministrative a volte complesse e la nomina di rappresentanti e referenti. Paradossalmente, il Regno Unito è una delle nazioni che ha recepito la direttiva sulle trasferte nel modo meno rigido.
Salvo che per il settore edile e per attività da svolgere in particolari contesti, non è prevista alcuna formalità amministrativa, se non la richiesta del modello A1, oltre ovviamente al rispetto delle norme vigenti nel paese.
Che cosa succederà dal 1 novembre 2019?
Le prime difficoltà riguarderanno proprio l’ingresso dei lavoratori nel Regno Unito partendo dai seguenti elementi:
- Passaporto, che dovrà avere validità residua di almeno 6 mesi al momento dell’ingresso in UK. Raccomandiamo a chi non l’avesse o a chi avesse una durata residua insufficiente di richiederlo per tempo.
- Visto per lavoro: per chi si recherà nel Regno Unito a lavorare (work) sarà certamente necessaria la richiesta di un visto di lavoro, con tempi e costi ad oggi imprevedibili.
- Visto per affari: il 10 aprile 2019 è stato approvato il regolamento (UE) 2019/592, che ha incluso i cittadini del Regno Unito post-Brexit tra i soggetti esentati dal visto, per viaggi d’affari di durata non superiore a 90 giorni nel semestre. In buona sostanza, il legislatore della UE si è preoccupato di agevolare l’ingresso nell’Unione ai cittadini UK dopo il 31/10/2019 prevedendo però che tale agevolazione sarà valida purché il Regno Unito non introduca l’obbligo di visto per i cittadini UE.
La necessità del controllo dei passaporti potrebbe portare con il tempo anche a difficoltà di ingresso nel paese, soprattutto se sul passaporto risultano visti di ingresso o permanenze prolungate in nazioni che il Regno Unito considera “ostili”.
Si spera nella reciprocità
Attualmente il regolamento è pubblicato con “data di entrata in vigore sconosciuta”: si auspica che il Regno Unito post Brexit possa operare in una logica di reciprocità esportazione attrezzature e materiali: il dipendente in trasferta dovrà “far dogana” e quindi dichiarare qualsiasi bene porti al seguito. Non sappiamo quali regole si applicheranno, se ci saranno esenzioni e franchigie: la prudenza impone di spedire separatamente ed anticipatamente tutti i beni necessari all’esecuzione del servizio ed assicurarsi che siano arrivati sul posto prima di inviarvi il lavoratore
Ricordiamo che TradeCube, insieme al suo partner AEG Corporation, gruppo internazionale con sede nel Regno Unito, può garantire un contatto diretto sul posto in grado di aiutarvi efficacemente ad affrontare ogni problema e criticità.